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Le citazioni da filosofi e scrittori
- Luciano Canfora – Alfabetizzazione come «talpa della storia»
Tratto da: Luciano Canfora – La scopa di don Abbondio. Il moto violento della storia, Laterza, 2018.
Fra tutti i lavoratori furono proprio i più miserabili
e i meno istruiti a essere i più sciovinisti.
F. Bealey, Les travaillistes et la guerre des Boers,
«Le mouvement social», 45, 1963Nessun si vuol illudere, ma l’esperienza può offrire qualche lume. Una massa di libri a vario titolo ‘sovversivi’ – sul piano sociale, morale, politico – circolante nei decenni che precedettero il 1789 rese possibile quel fenomeno, a prima vista sorprendente, che fu la prontezza di grandi masse nel cogliere, mettere a frutto, magari banalizzare le idee portanti della Rivoluzione (cioè dei suoi leader, nutriti di Voltaire e di Rousseau). Queste idee – semplificate quanto si voglia – rimasero patrimonio diffuso, e metabolizzato anche quando il moto storico parve risospingere indietro la “Rivoluzione”. […]
Alfabetismo di massa e banalizzazione sono, di norma, talmente intrecciati che non se ne può discorrere separatamente. È il fenomeno in cui meglio si osserva la spirale ‘avanzamento/arretramento/avanzamento’ del moto storico: «Dove tutti sanno poco, e’ si sa poco», lamenta l’ultimo Leopardi attraverso la ‘maschera’ di Tristano nel Dialogo di Tristano e di un suo amico (1832). Il quale sbeffeggia «la statistica», «le scienze economiche, morali e politiche, le enciclopedie portatili, i manuali e le tanto belle creazioni del nostro secolo»[i]. e attacca non senza acredine – facendo capo al debole argomento del ‘diritto alla gloria’ individuale – anche la formula allora nascente «Gli individui sono spariti davanti alle masse»[ii]. E ritiene di avere gioco polemico facile obiettando che le ‘masse’ non sono altro che insiemi di tanti ‘individui’: «me lo spieghino gl’intendenti di individui e masse che oggi illuminano il mondo».
Il Tristano di Leopardi – nel mentre che ritiene di demolire alla radice «enciclopedie portatili» e «manuali» – descrive un momento della spirale che è, al tempo stesso, di banalizzazione, ampliamento dell’‘utenza’ e accresciuta diffusione delle conoscenze. Dunque arretramento e avanzamento concomitanti. È un modello (in piccolo) di ciò che si è verificato all’inizio del XXI secolo con la banalizzante e pervasiva alfabetizzazione di massa dovuta anche ai nuovi strumenti. È un arretramento-ampliamento che ci sconcerta e che può sembrare persino più ‘barbarico’ di quello/ del tutto a torto stigmatizzato da Leopardi. Ma già nel tornante storico della tarda antichità era avvenuto qualcosa di analogo.
È Leopardi stesso però che fornisce, nel medesimo dialogo, l’argomento che vanifica la sua irridente condanna dei ‘moderni’, là dove fa dire a Tristano: «Tutti i secoli più o meno sono stati e saranno di transizione, perché la società umana non istà mai ferma, né mai verrà secolo nel quale ella abbia stato che sia per durare». Dopo di che soggiunge, insospettabilmente rispetto al culto di un passato remoto e migliore che Tristano mostrava di idoleggiare: «Tutte le transizioni conviene che siano fatte adagio; perché, se esse si fanno a un tratto[iii], di là a brevissimo tempo si torna indietro, per poi rifarle a grado a grado. Così è accaduto sempre». E, dopo essersi richiamato all’assioma «la natura non va a salti», giacché «forzando la natura non si fanno effetti che durino», conclude che «tali transizioni precipitose sono transizioni apparenti»[iv].
[i] Citiamo dall’edizione a cura di Walter Binni: Leopardi, Tutte le opere, vol. I, Sansoni, Firenze, 1969, p. 184.
[ii] ivi p. 183.
[iii] E tali sono le ‘rivoluzioni’.
[iv] Leopardi, Tutte le opere, cit. vol. I, p. 184 - Platone – Dialoghi - Protagora, IV secolo a.C.
[313] “Allora? Capisci a quale pericolo stai per esporre la tua anima? Se tu fossi costretto ad affidare a qualcuno il tuo corpo, rischiando che questo possa diventare forte o debole, rifletteresti a lungo se farlo o meno, chiederesti consiglio ad amici e familiari, penseresti per molti giorni. Al contrario, per quanto riguarda la parte che consideri più importante del corpo, l'anima, e dalla cui condizione dipende la felicità o l'infelicità della tua vita, nonhai chiesto il consiglio né di tuo padre né di tuo fratello né di nessuno di noi, tuoi amici, sulla necessità di consegnare o meno la tua anima a questo straniero venuto fino a qui: ne senti parlare la sera, come tu stesso dici, e sul far dell'alba ti presenti, senza parlarne prima e senza chiedere se convenga o meno affidarti a lui. Sei pronto a spendere il tuo denaro e quello dei tuoi amici, come se ormai avessi deciso che è strettamente necessario per te frequentare Protagora, che neanche conosci -come tu stesso affermi - e con il quale non hai mai parlato. Per di più lo chiami sofista, ma è chiaro che ignori chi sia un sofista, al quale purestai per affidarti”.
Sentite queste parole, disse: “Pare proprio così, Socrate, in base a quello che dici”.
“Il sofista, Ippocrate, non sembra forse una specie di negoziante o venditore delle merci di cui si nutre l'anima? Credo che sia qualcosa di simile”.
“Ma, Socrate, di cosa si nutre l'anima?”
“Di conoscenze, certamente. Fai però attenzione, mio caro, che il sofista, lodando quello che vende, nonci truffi, proprio come coloro che vendono gli alimenti per il corpo, cioè il negoziante e il commerciante. Questi infatti delle merci che portano non sanno quale sia utile e quale dannosa per il corpo, ma per venderle le lodano tutte. Non lo sanno neanche quelli che comprano da loro, a meno che non capiti un maestro di ginnastica o un medico. Allo stesso modo anche coloro che portano le conoscenze in giro per le città e le vendono a chi di volta in volta le richiede, lodano tutto quello che vendono, ma forse qualcuno, mio caro, ignora cosa sia utile e cosa dannoso per l'anima tra le cose che vendono. Lo stesso succede anche a quelli che comprano da loro, a meno che non capiti un medico dell'anima. Ora, se riesci a sapere quali tra questi insegnamenti risulti utile o dannoso, potrai tranquillamente comprarli da Protagora o da chiunque altro. Al contrario, caro amico, stai attento a non mettere a rischio e a giocare a dadi quanto vi è di più caro.
[314] Si rischia molto di più nell'acquistare gli insegnamenti che non i cibi. I cibi, infatti, e le bevande, una volta acquistati dal venditore o dal commerciante, si possono portare via in altri recipienti. Prima di berli o mangiarli si può, dopo averli riposti in casa, chiedere consiglio, domandare a un esperto se va bene mangiarli o meno, in quale quantità e quando. In questo modo non si rischia molto nell'acquisto. Al contrario, non è possibile portar via le conoscenze in un altro recipiente, ma, dopo aver pagato il prezzo pattuito, acquisito e ricevuto l'insegnamento nell'animo bisogna andar via o con un danno o con un beneficio. Esaminiamo dunque queste affermazioni anche con coloro che sono più vecchi di noi. Noi, infatti, siamo ancora troppo giovani per risolvere una questione così importante. Ora, come era nostra intenzione, andiamo e ascoltiamo Protagora e, dopo averlo ascoltato, discuteremo anche con gli altri. Lì infatti non c'è solo Protagora, ma ci sono anche Ippia di Elide - credo che ci sia anche Prodico di Ceo - e molti altri sapienti”.
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